أجراه الشَّاعر السُّوري أمارجي
ميلو دي آنْجِليس: شاعر وكاتب وناقد إيطالي من مواليد ميلانو 1951. يعمل مُحاضِراً في أحد المُعتقلات، وقد كان مديراً لتحرير مجلَّة “Niebo” الشِّعريَّة. صدرَ له: تَماثُلات (1976)، مِيلِّليمترات (1983)، أرضُ الوجه (1985)، مُنفكَّاً عن الأب (1989)، سيرةٌ موجَزة (1999)، موسيقى الوداع (2005) التي نال عنها جائزة Viareggio، ذلك المُضِيُّ في ظلام الفِناءات (2010). ترجم مؤلَّفاتٍ عديدة عن الفرنسيَّة كمؤلَّفات راسين وبلانشيه وبودلير كما ترجمَ عن الإغريقيَّة واللاتينيَّة مؤلَّفات إسخيلوس وڤِرجيل ولوكريتيوس وسواهم.
الحوار:
1- يقول هولدرلِن أنَّنا نحن البشر "حواريَّةٌ"، وهذا الحوار هو الذي يشكِّلُ الأغنية الوجوديَّةَ في خاتمة المطاف. ألا ترى معي أنَّ هذه الأغنية اليوم هي أبعد ما تكون عن اكتمالها؟ ما الذي يستطيع الشِّعرُ فعلَه حيالَ ذلك؟
- هولدرلين نفسُه في مسرحيَّته "موت إمبادوقليس" يتحدَّث عن القصيدة بوصفها "العمقَ الحميميَّ للتَّباين". لا يمكن للقصيدة أن تكون صُهارةَ تماهٍ مع الآخر، أو ارتماءً في نار بركانِه. بل لا يمكن وضع الآخر في عمق الصُّورة وجعلِه مقصداً نهائيَّاً صِرْفاً للأنا. ينبغي مزجُ العاطفةِ والعقل، نزقِ الرُّوح ودقَّةِ المقال. الأمرُ الذي يعني أنَّه في داخل الشَّاعر يحيا معاً - في نفسِ الكائن، ونفسِ اللحظة - إنسانٌ مغيَّبٌ وإنسانٌ مُدرِكٌ، مخبولٌ ضلَّ كلماتِه وذو منطقٍ قادرٌ على إثباتِ نظريَّاته!
2- تبدو القصيدة، في العقود الأخيرة، كما لو أنَّها استدارت لتدخلَ في ليل ذاتها. بتعبيرٍ آخر يستلهم اللغة الهيغليَّة، يبدو كأنَّ وجود القصيدة قد استُبدِلَ بالظِّلِّ الأنطولوجيِّ لذلك الوجود المسمَّى قصيدة. هل حقَّاً لا يزال ممكناً إقامة توازنٍ بين شِعريَّة الأنا وشِعريَّةٍ "تميل نحو الآخر" على قولِ بول سيلان؟ ما هي رؤيتك الشِّعريَّة لمسألة الآخريَّة؟
- الأنا هي مِحبَسُ سرِّ الآخر. لوحدِنا، لن نكون مؤهَّلين لإنارةِ اللغزِ الذي يقطنُ فينا ويسوقنا. نحن لسنا مستقلِّين بذواتِنا، لسنا قادرين على فرضِ أغنيتنا، أو قانوننا. إنَّنا منفيُّون في غرفِنا، غرباءُ على وساداتنا. فقط عندَ اللقاء بالآخر تبدأ قدرتُنا على استبصارِ جانبٍ ما مِن ذواتنا. اللقاء ولادةٌ جديدةٌ لنا. المثنَّى يتصدَّرُ المفرَد. المفرَدُ يبتدئُ من المثنَّى. في اللقاء يصير بوسعِ الجزء الأكثر احتجاباً منَّا، الجزء الذي يتعذَّرُ النَّفاذ إليه أو الحلولُ فيه، أن يتولَّى ناصيةَ الكلام.
3- هنا، لنتأمَّل قليلاً في قضيَّة الهجرة واللاجئين: أنا كمشرقيٍّ، أقرأ الأمر على أنَّه هروبٌ من الآخر (القريب، لكن الرَّافض لآخريَّتي) وارتماءٌ نحو الآخر (البعيد، لكن المتسامح مع آخريَّتي)؛ إنَّه ليس ميلاً نحو الآخر فحسب، بل ارتماءٌ عنيفٌ واستشهاديٌّ؛ وهو حتَّى وإن بدا اضطراريَّاً إلا أنَّه اعترافٌ ضمنيٌّ بأنَّ الآخر خلاصٌ للأنا. كغربيٍّ، كيف يرى ميلو دي آنجلِس الأمرَ؟
- إنَّ الموضوعةَ الكبيرةَ والشَّائكة للهجرة تُقرأ، من جهةٍ، من وجهةِ نظرٍ سياسيَّةٍ واجتماعيَّة، لكن من جهةٍ أخرى تتضمَّن هذه الموضوعةُ نواةً أسطوريَّةً أحسنتَ قولاً إذْ أسميتَها: الآخريَّة. الآخريَّة هي ذلك الجانب المجهول منَّا ومن الكون، إنَّها البعيدُ الذي يستصرخ داخلَ كينونتنا مِن شدَّة حاجته إلى أن يُلاقَى؛ إنَّها ذلك الطفل الذي يحلم بارتيادِ قارَّاتٍ جديدة لأنَّه يشعرُ باضطهادِ الجدرانِ له، جدرانِ غرفته. الآخريَّة سِيَرَانةٌ [عروسُ بحرٍ في الميثولوجيا الإغريقيَّة]، ولها كلُّ وجوه السِّيَرَانات: المتوعِّدُ، والمُغوي، والعتيقُ، والغامض. كذا الآخريَّة عصيَّةٌ على التَّدجين وعلى التَّعريف؛ تطلبُ أن تُستضافَ كما هي، بكلِّ فتنتها، وعنفِها، وغموضِها، وكلِّ شُبُهاتِها. لعلَّ الآخريَّة اسمٌ آخر للقصيدة.
4- يرى البعض أنَّ الاستشراق لم يكن حركةً حضاريَّةً إلا في الظَّاهر، وأنَّه في حقيقة الأمر تمهيدٌ للاستعمار؛ أمَّا الاستغراب، فيرى آخرون أنَّه ينطلق من شعور الشَّرق بالنَّقص حيال الحضارة الأوروبيَّة. من هذا المنظور، يعني ذلك أنَّ العلاقة بين الشَّرق والغرب مبنيَّةٌ في الأصل على مسبَّقات إيديولوجيَّة معيَّنة. ما هي نظرتك إلى هذه العلاقة؟ هل حقَّاً ينبغي أن تبتكر كلُّ حضارةٍ نفسَها بنفسِها بمعزلٍ عن حضارة الآخر؟
- لطالما استمالَنا الشَّرقُ. منذ سنيِّ السَّبعينات إلى اليوم مارسَت عوالم الهندِ، على وجه الخصوص، سطوةَ فتنتها علينا. لا يعني ذلك أن نرتدي إزارَ الرَّهبانيَّة البرتقالي، وننقلبَ نباتيِّين أو نلاحقَ العادات المتطرِّفة للعصر الجديد. إنَّما يعني البحثَ، والجدِّيَّة، والسُّؤالَ، والدُّخولَ الانبهاريَّ والفطِنَ في نصوص الفيدا، في الأوبانيشاد، في اللغة السنسكريتيَّة، في كونٍ هائلٍ محتوَىً داخلَ لفظةٍ شِعريَّة. فوق كلِّ شيء، لا يعني الأمرُ تخلِّياً عن موروثاتنا الخاصَّة من عاداتٍ وتقاليد، بل اتِّصالاً مع ما هو خارقٌ للعادة، وتشابكاً مخصباً مع آخريَّة الآخر.
5- في كتابه "الشِّعر والشُّعراء" يطرح ت. س. إليوت مسألة "الوظيفة الاجتماعيَّة للشِّعر"، وهو يخلص بشكلٍ أو بآخر إلى أنَّ وجود الشِّعر في العالم هو بحدِّ ذاته كافٍ كوظيفة. هل هناك وظيفة للشِّعر باعتقادك؟ وكيف ترى مستقبل الشِّعر؟
- عندما نبدأ بإعداد قائمةٍ بواجبات القصيدة، فإنَّنا ولا شك منتهون إلى الأخلاقيَّة أو إلى النِّفاق الأخلاقي. والأعوام التي عشناها شهدتْ دجَّالين من كلِّ صنفٍ ولونٍ متنكِّرين بأقنعةِ شعراء "علمانيِّين"، مبشِّرين بنظريَّةِ خدمةِ الجماهير، مِهذارين يجهلون ظلماتِ الكلمة الشِّعريَّة، وهاوياتها، ورِعشاتها القويَّة. ليس للقصيدة واجبٌ، بل مصيرٌ، وهذا المصير يتطلَّع في النِّهاية إلى اللقاء بآخريَّة الآخَر.
[ترجمه عن اللغة الايطالية امارجي]
* * *
Intervista a Milo De Angelis
A cura di Amarji (Poeta Siriano)
D. "Noi siamo un dialogo", dice Hölderlin; ed è solo il dialogo che compone alla fine il canto esistenziale. Non pensa Lei che questo canto, oggi, sia assai lontano dal suo completamento? E riguardo a questo, cosa può fare la poesia?
R. Lo stesso Hölderlin, in La morte di Empedocle, parla della poesia come “intimità della distanza”. La poesia non può essere fusione empatica con l’altro, tuffo nel fuoco del suo vulcano. Ma non può nemmeno mettere l’altro sullo sfondo e farne un semplice destinatario. Deve unire patos e intelligenza, slancio dell’anima e precisione della sillaba. Il che significa che nel poeta vivono insieme – nella stessa creatura, nello stesso istante – un uomo smarrito e un uomo sapiente, un folle che ha perduto le sue parole e un matematico capace di dimostrare i suoi teoremi!
D. E’ come se la poesia, negli ultimi decenni, si fosse votata ad entrare nella propria notte. In altre parole, ispirate dalla lingua hegeliana, pare che l`esistenza della poesia venga sostituita dall’ombra ontologica di quell`essere che è la poesia. È ancora possibile solvere un equilibrio tra la poetica autoreferenziale e la poetica che "tende a un altro" come diceva Paul Celan? Qual è la sua visione poetica dell`alterità?
R. L’io è ciò di cui un altro detiene il segreto. Non siamo in grado, da soli, di illuminare l’enigma che ci abita e ci sospinge. Non siamo auto-nomi, non possiamo darci il nomos, la legge. Siamo esuli nel centro della stanza, pellegrini sul nostro cuscino. Soltanto nell’incontro cominciamo a intuire qualche frammento di noi. L’incontro ci fa nascere. Il due precede l’uno. L’uno procede dal due. Nell’incontro la nostra parte più celata, impervia e inabitabile prende la parola.
D. Riflettiamo un po` sull`argomento dell`immigrazione e dei profughi: io, come orientale, lo leggo come un fuggire dall`altro (quello vicino, ma negatore della mia alterità) e gettarsi verso l`altro (quello lontano, ma tollerante della mia alterità); quindi non è soltanto una tendenza verso l`altro, bensì una scelta violenta e sacrificale; e, nonostante la forzatura, resta come riconoscimento allusivo che l`altro è la salvezza dell`io. In quanto occidentale, come legge Milo De Angelis questo tema?
R. Il grande tema dell’immigrazione da una parte va letto in chiave politica e sociale ma dall’altra possiede un nucleo mitico che hai fatto bene a nominare: l’alterità. L’alterità è la parte sconosciuta di noi e del mondo, è il lontano che grida dentro il nostro essere ed esige di essere incontrato, è il fanciullino che sogna nuovi continenti perché si sente oppresso dalle pareti della sua stanza. L’alterità è una sirena e ha tutti i volti della sirena: quello minaccioso, quello seducente, quello antico, quello ignoto. Non si lascia addomesticare né ridurre a una definizione. Chiede di essere ospitata in tutta la sua bellezza, la sua violenza, il suo mistero e in tutta la sua ombra. Forse l’alterità è un altro nome della poesia.
D. Alcuni pensano che l`orientalismo sia stato un`attività culturale solo in apparenza, mentre in realtà è l`introduzione al colonialismo; altri invece pensano che l`occidentalismo inizi dal complesso di inferiorità dell`oriente di fronte alla cultura europea. Da questo punto di vista, ciò significa che la relazione Est-Ovest si basa su pregiudizi ideologici. Come vede Lei questa relazione? È giusto che ogni cultura debba creare se stessa a partire dalla cultura dell`altro?
R. L’oriente ci ha sempre attratti. Dagli anni settanta a oggi il mondo indiano in particolare ha esercitato su tutti noi un richiamo potente. Questo non significa vestirsi di arancione, mangiare vegano o inseguire i feticci della new-age. Significa studio, serietà, interrogazione, ingresso ammirato e intelligente nei Veda, nelle Upanishad, nella lingua sanscrita, nell’immenso universo racchiuso in una sillaba. E soprattutto non significa abbandono della propria tradizione, bensì contatto con l’inaudito, intreccio fecondo con l’alterità.
D. Nel suo libro "I Poeti e la Poesia", T. S. Eliot sottopone l`argomento della "funzione sociale della poesia", e lui vede, più o meno, che la presenza della poesia è sufficiente come funzione di essa. Secondo Lei, la poesia ha un dovere? Quali sono le sue profezie per il futuro della poesia?
R. Quando si comincia a elencare i doveri della poesia, si finisce sempre nel moralismo o nel ricatto. E gli anni in cui siamo cresciuti hanno visto imbroglioni di ogni genere travestiti da poeti “civili”, predicatori al servizio delle masse, parolai che ignorano l’ombra, il baratro e il tremore della parola poetica. La poesia non ha un dovere ma un destino e questo destino riguarda l’incontro con l’alterità.